Poco tempo fa ho consultato Ecosistema Urbano, il rapporto annuale di Legambiente sulla vivibilità in Italia. Checché se ne dica, il Bel Paese fatica a migliorarsi sul fronte ambientale.

Alla sua XXII edizione, il dossier è appena stato pubblicato e, purtroppo, non offre una grande immagine del nostro Paese. Stanche, ingessate e pigre sono gli aggettivi che meglio sembrano delineare le nostre città. Qualche giorno ne ho parlato insieme a Mirko Laurenti, direttamente coinvolto nella stesura del documento.

Mirko Laurenti

Ciao, Mirko! Come primissima cosa, presentati…

Ciao, Anna. In Legambiente mi occupo di tutte le fasi di stesura di Ecosistema Urbano che inviamo alle amministrazioni comunali, avendo cura della sua diffusione e della raccolta e verifica dei dati.

La parte tecnica di questo lavoro è affidata all’Istituto di Ricerche Ambiente Italia, che certifica il dato stesso.

Cos’è Ecosistema Urbano? Serve a misurare la vivibilità in Italia?

Ecosistema Urbano è una ricerca sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani. È una delle prime esperienze mondiali di reporting ambientale.

È una foto della situazione di una certa città in termini di pressione ambientale e di risposta data dagli amministratori ad alcune criticità.

Questo specifico dossier aiuta a capire la situazione di una città rispetto a un modello ideale. Misura, appunto, la vivibilità in Italia.

Quali indicatori avete preso in considerazione?

Nel tempo ci siamo adeguati a quelli che erano alcuni degli indici più monitorati a livello europeo e mondiale.

I 18 indicatori complessivi hanno riguardato la qualità dell’aria, la gestione delle acque, i rifiuti, il trasporto pubblico, la mobilità, l’incidentalità stradale e l’energia.

Quali passi in avanti sono stati compiuti se consideriamo il grado di vivibilità in Italia?

Quest’anno, di passi in avanti, non ce ne sono stati. Abbiamo un sistema estremamente lento e ingessato.

Ci sono aree del Paese che, storicamente, sono più focalizzate su un miglioramento ambientale. Le risposte meno positive arrivano dalle città medio-grandi del Sud.

L’Italia è ancora un Paese diviso: se il Centro-Nord ospita vere e proprie eccellenze in alcuni settori chiave, il Sud non riesce a programmare nulla che vada al di là dell’emergenza quotidiana.

Quali problemi presentano le città d’Italia? In che modo dovrebbero migliorarsi?

I problemi maggiori riguardano l’inquinamento atmosferico e la mobilità. Siamo ancora troppo incentrati sull’uso dell’auto privata e troppo poco avvezzi a sistemi di mobilità integrati.

C’è difficoltà a intendere il mezzo di trasporto pubblico come un’effettiva alternativa capace di rispondere alle necessità quotidiane. È più semplice puntare l’attenzione sui sistemi di mobilità privata.

E il motivo dove risiede?

Risiede nell’inefficienza e nella scarsa programmazione.

I mezzi pubblici, spesso, non sono in grado di rispondere alle esigenze diffuse. Questo rappresenta un problema. Le metropoli del nostro Paese faticano a offrire mezzi di trasporto efficienti e questa è una piaga che continuiamo a portarci dietro.

La vivibilità in Italia non può migliorare senza un upgrade in questo senso.

Cos’hanno Verbania, Trento, Bolzano e Belluno che altri capoluoghi non hanno? È una questione legata alla cultura?

È sì una predisposizione culturale, ma anche una facilità di accesso a certe condizioni che le grandi città non sanno ancora offrire.

Bolzano, ad esempio, racchiude in sé tantissime eccellenze. Presta moltissima attenzione al solare, all’edilizia sostenibile e alla mobilità green. In sé rappresenta un esempio di eccellenza a livello italiano ed europeo.

La voce di Legambiente viene ascoltata quando si parla di migliorare la vivibilità in Italia?

Non troppo. Le nostre segnalazioni non vengono affrontate in modo risolutivo. Vuoi per la difficoltà di programmazione, vuoi per le risorse, vuoi per via delle peculiarità dei territori.

Il giudizio di Legambiente è complessivamente negativo, giusto?

Sì, buona parte dei giudizi sono negativi. Nei settori della raccolta differenziata e delle energie rinnovabili si intravede un po’ di luce.

Soprattutto per quanto riguarda la raccolta differenziata, la media dei rifiuti raccolti in questo modo si è innalzata enormemente. Anche nel Centro e nel Sud Italia.

Ho una curiosità: scegliere di diventare virtuosa è qualcosa che costa molto a un’amministrazione?

Scelte di questo tipo, almeno nel periodo iniziale, implicano un costo leggermente maggiore rispetto a soluzioni più semplici da gestire. Nel tempo, però, vengono ammortizzate.

Adottare l’illuminazione pubblica a LED, ad esempio, è un intervento ammortizzabile nel tempo che aiuta a ridurre i consumi e a migliorare sensibilmente la qualità della vita. Spesso, purtroppo, scelte lungimiranti, che però ripagano a distanza di 4 o 5 anni, passano in secondo piano.

Prima di salutarci, ti chiedo: un cambiamento di tipo green implicherebbe anche un aumento del lavoro?

È una bella domanda. Sì, un cambiamento implicherebbe indubbiamente una differenziazione di impieghi e di forza lavoro, servirebbero tante professionalità.

È anche per questo motivo che Legambiente intravede, nella green economy, un’opportunità sociale ed economica. Diversificare serve a diventare più sostenibili, ma anche a offrire lavoro.

Il cambiamento culturale implica quasi sempre un’opportunità economica.

Foto di copertina: Rowan Heuvel via Unsplash.