Quando dico che nel nostro territorio ci sono persone incredibili, lo penso veramente.
Anna Zacchi ne è un esempio lampante. Classe 1951, è una signora di Madonna dell’Albero, una frazione in provincia di Ravenna, piccola e minuta.
Il suo sguardo è simpatico e il suo è il sorriso di una persona che ne ha affrontate tante, nella sua vita. Anche a livello sportivo.
Anna è una maratoneta. E quando l’ho conosciuta, qualche tempo fa, ho desiderato essere come lei.
Vi racconto la sua storia…
Anna si appassiona alla corsa da giovane, e lo annuncia alla sua famiglia. Ai genitori dice che vuole allenarsi per ore.
Il padre, perplesso, inizialmente pensa a un principio di pazzia. Ma lei non demorde, è convinta. Più corre, più correrebbe.
Nel 1980 decide di affrontare la sua prima avventura podistica, la 100 km del Passatore Firenze - Faenza, che non è esattamente una passeggiata. Si classifica al primo posto al secondo anno, nel 1982, percorrendo tutto il tragitto in 9 ore e 45 minuti.
A questo proposito, Anna dice:
C’era uno sponsor per i migliori corridori di quella gara. Avevano deciso di sposorizzare anche me, solo che io volevo rimanere fedele alla Romagna.
Così ho deciso di affrontare la prima metà della gara con la pettorina dello sponsor ufficiale e la seconda metà con quella della mia società sportiva, la Caveja di Madonna dell’Albero. Perché io, all’arrivo, volevo arrivarci con indosso la Romagna.
Capito, la Zacchi?
Negli anni a seguire, Anna affronta altre avventure podistiche: Tayuta (73 km) nel 1990, una gara in Corsica (72 km. Unica donna a gareggiare, vince senza riscuotere alcun premio. Il motivo? Non avevano previsto che la gara fosse vinta da una donna) e diverse maratone sparse per l’Italia, fra le quali la 50 km romagnola con partenza e arrivo a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna.
L’avventura più bella, quella che Anna racconta con gli occhi lucidi, risale al 1997: è la Maratona della Sabbia, in Marocco. Ormai quarantaquattrenne, l’affronta per la prima volta all’interno di una squadra composta da un’altra podista, la veronese Rosanna Pellizzari, e da altri tre corridori uomini.
Corrono per 230 km con 43°C di giorno e 6°C di notte, portando in spalla 8 kg di autosufficienza (un vero e proprio kit di sopravvivenza. C’è perfino il lanciafiamme da utilizzare in caso di smarrimento). L’organizzazione marocchina offre solo la tenda e 9 litri di acqua al giorno.
Anna mi racconta:
Qualche mese prima di affrontare quell’avventura, cominciai a correre su terreni sabbiosi a piedi nudi per favorire lo sviluppo dei calli che avrebbero scongiurato le vesciche durante i giorni di gara. Quella in Marocco è stata una corsa in cui ho vissuto molte emozioni.
E sai qual è stata la cosa più bella? Eravamo tutti uguali, si era tutti sporchi allo stesso modo, l’ingegnere come il bottegaio. E si correva tutti insieme.
Nel 1992, Anna si cimenta nell’Atene - Sparta, 236 km. Con una sottile amarezza, precisa di averne percorsi “solamente” 180 a causa di alcuni problemi fisici causati da una caduta in bici di qualche giorno prima.
Dulcis in fundo, nel 2006, affronta uno dei percorsi più noti al mondo: il Cammino di Santiago. Decide di peregrinare da sola con uno zaino in spalla da 16 kg.
In 18 giorni percorre 786 km, con partenza da Saint Pies des Portes e arrivo a Santiago de Compostela. Una media di 50 km al giorno. Perché Anna non ha paura di niente.
E quando arriva a destinazione, stupisce tutti: non riescono a credere che a quell’età abbia percorso tutta quella strada da sola. E invece sì! E a testimoniarlo ci sono i timbri che ha collezionato lungo il cammino.
C’è poco da fare, Anna è un’eroina a tutti gli effetti. E ciò che più mi piace di lei è l’umiltà, l’estrema umiltà con cui racconta di sé stessa e della sua vita dedicata alla corsa. C’è una profonda delicatezza, nel suo modo di fare e di parlare.
Immagino sia la stessa delicatezza con cui ha affrontato le sfide della vita. Tutte, nessuna esclusa.
C’è un’affermazione di Stephen Littleword che, a mio parere, ben le si addice. Recita più o meno così:
Ho affrontato le sfide della vita attingendo a un bacino di energia pura: la mia forza interiore. L’ho costruita a dispetto degli sberleffi della vita e grazie ai dolori quotidiani, l’ho scoperta credendo in me e nei miei valori.
Questa è Anna, un esempio di emancipazione femminile.